Ruoli e responsabilità del collegio sindacale
Il ruolo del collegio sindacale

I compiti del collegio sindacale, disciplinati dal Codice Civile (art.2403) per le società non quotate e TUF (decreto legislativo del 24 gennaio 1998, n. 58, art.149) per le quotate, possono essere sintetizzati come segue:

  1. verifica dell’osservanza della legge e dello statuto;
  2. verifica del rispetto dei principi di corretta amministrazione;
  3. verifica dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e del suo concreto funzionamento.
1. Verifica dell’osservanza della legge e dello statuto

La verifica dell’osservanza della legge e dello Statuto si concretizza nella vigilanza sulla correttezza degli atti e delle delibere assunte dagli organi sociali. Il controllo di legittimità svolto dai componenti del collegio sindacale consiste nella vigilanza sul rispetto di tutte le norme statutarie, delle norme legislative e regolamentari che disciplinano il funzionamento degli organi della società ed i rapporti della stessa con gli organismi istituzionali, delle disposizioni normative che disciplinano il settore operativo proprio dell’azienda e sulla presenza delle autorizzazioni prescritte per lo svolgimento dell’attività.

2. Verifica del rispetto dei principi di corretta amministrazione

La riforma del diritto societario ex D.lgs. 6/2003 ha ridisegnato le competenze del collegio sindacale, il quale, dal 1° gennaio 2004, ha il compito di vigilare sul rispetto dei principi di corretta amministrazione.

In particolare, la nuova formulazione dell’articolo 2403 del codice civile, introdotta dalla riforma, specifica in maniera più analitica, accogliendo le tesi della prevalente dottrina, le competenze del collegio sindacale prevedendo un controllo sulla “corretta” amministrazione alla luce di quelle che sono le regole aziendali con specifico riguardo alla verifica della legittimità sostanziale di ogni atto aziendale ovvero sulla conformità di tali atti alle citate regole aziendalistiche.

Rimane di fatto invariato il principio del “no business judgement rule” del collegio che mantiene pertanto il medesimo ruolo di estraneità al giudizio di merito sulla gestione. Il collegio infatti non deve entrare nel merito della gestione esprimendosi sull’opportunità delle scelte imprenditoriali compiute dagli amministratori ma, attraverso le modifiche introdotte dalla riforma del diritto societario, vengono rafforzati e resi espliciti i compiti di verifica del rispetto della buona prassi operativa e sulla presenza di tutti i necessari presidi di diligenza per la salvaguardia per il corretto operato da parte della società.

3. Verifica dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e del suo concreto funzionamento

L’articolo 2403 del codice civile attribuisce al collegio sindacale il compito di vigilare sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società. L’oggetto del controllo da parte del collegio sindacale sono i processi che governano gli atti esecutivi ovvero l’adeguatezza dell’insieme delle direttive e procedure dirette ad assicurare un appropriato livello di competenza e responsabilità nell’attribuzione delle funzioni. I requisiti che il collegio sindacale deve valutare per accertare l’adeguatezza di una struttura organizzativa aziendale sono ad esempio la conformità alle dimensioni dell’impresa, alla natura ed alle modalità di espletamento dell’oggetto sociale, l’organigramma aziendale e la documentazione relativa a direttive e procedure aziendali.

La verifica dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo può essere eseguita attraverso una rilevazione su un campione significativo sulle transazioni più importanti e quelle che hanno inciso maggiormente durante l’esercizio di riferimento sul business aziendale. Per la transazione selezionata si andrà quindi a verificare se il singolo atto esecutivo è stato condotto secondo quanto definito nella procedura interna di riferimento e se tale procedura contiene i necessari presidi di garanzia per un corretto operato da parte della società.

Il ruolo del revisore legale

I compiti del revisore legale sono contenuti nell’articolo 14 del Decreto 39/2010 e sono sintetizzati nei due punti che seguono:

  1. esprime il proprio giudizio sul bilancio con apposita relazione;
  2. verifica nel corso dell’esercizio la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili.

Più in generale la funzione della revisione legale è contenuta al punto 3 principio ISA Italia 200:
“la finalità della revisione è quella di accrescere il livello di fiducia degli utilizzatori del bilancio, poiché il giudizio espresso dal revisore fa riferimento al fatto che il bilancio «fornisce una rappresentazione veritiera e corretta».

Le obbligazioni a carico del revisore sono quindi rilevanti sotto un duplice aspetto:

  1. servizio alla società revisionata (rilevanza privatistica – contratto di opera intellettuale);
  2. funzione informativa a favore dei terzi: riduzione dell’asimmetria   informativa fra emittenti e investitori (rilevanza pubblicistica).
La responsabilità del collegio sindacale

L’articolo 2407 del codice civile definisce le responsabilità del collegio sindacale prevedendo che: “I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio. Essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica. All’azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 2393, 2393 bis, 2394, 2394 bis e 2395”.

La formulazione delle responsabilità del collegio sindacale espressa nell’articolo 2407 del codice civile è rimasta pressoché immutata rispetto alla versione precedente alla riforma del diritto societario e mantiene pertanto la ricostruzione operata dalla giurisprudenza e dalla dottrina di radicare i profili di responsabilità al concetto di omessa vigilanza da parte del collegio sindacale.

È importante a questo punto evidenziare come vengono circoscritte le responsabilità del collegio sindacale sulla base dei pertinenti orientamenti giurisprudenziali ed in particolare:

  • la sentenza della Corte di Cassazione del 3 luglio 2017 n. 16134 che ha stabilito quanto segue: “La configurabilità del dovere di vigilanza, imposto ai sindaci dall’art. 2407 c.c., comma 2, non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, cosi da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunziando i fatti al Pubblico Ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c”;
  • la sentenza dalle Corte di Cassazione del 11 novembre 2010, n. 22911 nella quale è precisato che: “l’attività dei sindaci non si limita ad un mero controllo della rispondenza degli atti alle norme di legge ed a quelle statutarie, ma si estende anche alla verifica della diligenza impiegata dagli amministratori nello svolgimento degli affari sociali, potendo qualificarsi come un controllo di legalità sostanziale sull’operato degli amministratori. Pertanto, ricorre la responsabilità solidale dei sindaci con gli amministratori in caso di omessa vigilanza circa il compimento da parte dell’organo amministrativo di operazioni non riportate nella contabilità e di finanziamenti a società collegate, divenuti causa del dissesto finanziario della società poi dichiarata fallita, affermando che la tenuta di una contabilità occulta non esime i sindaci dai doveri di controllo quando vi sia discrepanza della contabilità ufficiale rispetto ai dati reali sulla gestione, secondo un allarme offerto dalla gravità delle operazioni”;
  • la sentenza Tribunale di Milano 13 novembre 2006 che precisa quanto segue: “Ai fini della configurazione della responsabilità dei sindaci, è necessario non solo individuare specificamente la condotta, ma provare il nesso di causalità tra la condotta di questi ed il danno subito dalla società;
  • la sentenza della Corte di Cassazione 27 maggio 2013, n. 13081 che stabilisce: “in un caso in cui la società sia stata dichiarata fallita, è necessario non solo dimostrare che l’omissione dei controlli aveva consentito la prosecuzione dell’attività e, quindi, il prodursi dell’evento dannoso, ma anche, come richiesto dall’art. 2407,  comma 2, c.c., che l’effettuazione dei controlli avrebbe consentito di evitare il danno, alla stregua di una prognosi postuma condotta secondo il principio della regolarità causale”.
La responsabilità del revisore legale

La definizione delle responsabilità dei revisori legali è contenuta nell’articolo 15 del Decreto 39/2010 che prevede quanto segue: “I revisori legali e le società di revisione legale rispondono in solido tra loro e con gli amministratori nei confronti della società che ha conferito l’incarico di revisione legale, dei suoi soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri. Nei rapporti interni tra i debitori solidali, essi sono responsabili nei limiti del contributo effettivo al danno cagionato”.
I presupposti per la responsabilità civile del revisore legale sono i seguenti:

  1. il fatto storico dell’espressione di un giudizio positivo (o la consapevole astensione dall’espressione di un giudizio negativo) su un bilancio inficiato da falsità materiali, irregolarità formali o informazioni carenti e fuorvianti che debbano ritenersi significative;
  2. la sussistenza di una non diligente esecuzione dell’incarico, ossia l’ipotesi in cui nell’espletamento del suo incarico il revisore non abbia correttamente applicato le regole e i modelli di comportamento tipici della sua professione, conducendo tutte quelle verifiche che secondo tali regole dovevano considerarsi ex antenecessarie secondo il parametro della diligenza professionale;
  3. la produzione di una lesione patrimoniale a danno della società o di terzi, che non si sarebbe prodotta in presenza di una corretta e diligente informativa del revisore.

Per un’analisi dei profili delle responsabilità dei revisori legali è utile la lettura dei seguenti orientamenti giurisprudenziali:

  • sentenza della Corte di Cassazione del 17 aprile 2015 n. 7919: “Al fine di accertare la responsabilità del revisore, il giudice è tenuto ad accertare se l’evento sia ricollegabile all’omissione (causalità omissiva), nel senso che esso non si sarebbe verificato se (causalità ipotetica) il revisore avesse posto in essere la condotta impostagli, secondo le regole di avvedutezza e diligenza che devono guidare l’homo eiusdem condicionis ac professionisti”;
  • sentenza della Corte di Cassazione del 7 maggio 2015, n. 9193: “le relazioni periodiche della società di revisione e quella annuale sul bilancio di esercizio non attribuiscono alle relative risultanze un carattere di certezza tale da tradursi in un’attestazione legale d’idoneità dei predetti atti a rappresentare fedelmente la situazione economico-patrimoniale e finanziaria della società; l’attività del revisore, consistente essenzialmente nel fornire ai soci ed ai terzi elementi di valutazione in ordine allo stato di salute della società ed alla correttezza della gestione, consente di escludere dal novero dei diretti destinatari gli amministratori, i quali, disponendo di tutti gli elementi necessari per la formazione della contabilità e la predisposizione dei bilanci, sono perfettamente in grado di rendersi conto di eventuali irregolarità, anche se ascrivibili alla precedente amministrazione”;
  • sentenza Corte di Cassazione-  Sez. V, 12 marzo 2009, n. 5926 e Corte di Cassazione Sez. V, 26 febbraio 2010, n. 4737: “Il giudizio di revisione non costituisce presunzione iuris tantum della veridicità delle scritture, perché manca una norma legislativa che le attribuisca tale forza; Tuttavia, la sua confutazione può avvenire soltanto attraverso la produzione di documenti che siano idonei a dimostrare che nel giudizio di revisione il revisore è incorso in errore o ha realizzato un inadempimento; Tra i documenti rilevanti a tal fine vi sono: a) quelli che dimostrino il carattere omissivo del comportamento del revisore, b) quelli che, pur rilevanti, non siano stati oggetto di valutazione da parte del revisore, perché non se ne prevedeva l’inserimento nelle procedure di revisione; c) quelli che sono stati occultati, perché idonei a provare comportamenti dolosi;
  • sentenza Tribunale di Milano 9 ottobre 2012: “sussiste inadempimento della società di revisione laddove ha concluso la sua relazione affermando l’impossibilità di esprimere un giudizio (no opinion) invece che esprimendo un giudizio negativo (adverse opinion); tuttavia, attesa la no opinion, il revisore non ha fornito alcun placet al bilancio, negandone comunque la certificazione; il revisore «ha messo nero su bianco» tutti gli aspetti critici del bilancio, fornendo tutti gli elementi per capire le la società si trovava in una situazione di mancanza di continuità aziendale”; Il revisore non è né l’amministratore titolare del potere gestorio, né il destinatario dell’obbligo di gestire la società in stato di scioglimento esclusivamente secondo criteri conservativi, né il socio che ha il potere di determinare la messa in liquidazione della società, né un soggetto legittimato a presentare denunce ex art. 2409 c.c., né soggetto che abbia il potere di innescare una procedura concorsuale, sicché la sua relazione ha effetto intanto in quanto sia recepita da soggetti diversi che, preso atto del suo contenuto, adottino i comportamenti conseguenti
  • sentenza del Tribunale di  Milano 4 novembre 2012: al revisore è demandato un dovere di controllo non solo della regolare tenuta delle scritture contabili, ma anche di esame e di indagine sulla corretta rilevazione dei fatti gestionali nelle scritture contabili; ai doveri di controllo e di indagine si accompagnano specifici poteri di acquisizione di documenti e di informazioni, nonché il dovere di svolgere accertamenti, ispezioni e controlli sulla società soggetta a revisione; si tratta di una funzione diversa da quella, per certi versi più diversificata e ampia, esercitata dai sindaci, tenuti in generale al controllo e alla vigilanza della corretta amministrazione della società, attività cui si affianca un dovere di controllo contabile che è necessariamente meno approfondito di quello di stretta competenza della società di revisione; lo scopo della certificazione dei bilanci è quello di elargire al mercato e ai suoi fruitori, oltre agli azionisti di minoranza, un arricchimento informativo mediante un giudizio professionale espresso con principi standardizzati, e non di aiutare i sindaci e gli amministratori a far di conto.

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