Nel fallimento variazione IVA anche senza insinuazione

Sentenza C-146/19 dell’11 giugno: confermato diritto a riduzione dell’imposta assolta e relativa a credito non recuperabile. Il Fisco non può pretendere un importo superiore a quello che il soggetto passivo ha realmente percepito.

In caso di ammissione allo stato passivo, è sufficiente dimostrare che il credito non sarebbe stato comunque riscosso.

Secondo l’Organo di Giustizia europea, è contraria alle disposizioni dell’Unione la normativa di uno Stato membro che non consente a un soggetto passivo Iva la riduzione dell’Iva assolta e relativa a un credito irrecuperabile, qualora questi abbia omesso di insinuare tale credito nella procedura fallimentare instaurata nei confronti del suo debitore e dimostri che, se avesse insinuato il credito, questo non avrebbe avuto modo di essere riscosso.

Ciò è stato stabilito in seguito a una domanda di pronuncia pregiudiziale formulata dalla Corte Suprema Slovena riguardante il rifiuto di concedere al cedente/prestatore la rettifica dell’IVA pagata e relativa a crediti non riscossi.

La Corte di Giustizia Ue, infatti, ha ricordato che la direttiva Iva (art. 90, paragrafo 1) obbliga gli Stati membri a ridurre la base imponibile Iva ogni qual volta che, successivamente alla conclusione di una transazione, quest’ultima non venga percepita, in parte o in toto, dal soggetto creditore. La base imponibile è costituita dalla controprestazione realmente percepita, per cui l’Amministrazione finanziaria non può pretendere un importo Iva superiore a quello che il soggetto passivo aveva percepito.

D’altro canto, la direttiva Iva (art. 273) attribuisce agli Stati membri un margine di manovra in ordine alle formalità che i soggetti passivi devono soddisfare di fronte alle autorità tributarie, al fine di ridurre la base imponibile. Tuttavia, i giudici nazionali devono interpretare il proprio diritto conformemente a quanto previsto nella direttiva, attenendosi fermamente alla normativa comunitaria.

Anche in Italia devono essere considerati tali principi, in particolare per quanto riguarda l’applicazione della norma che consente la variazione in diminuzione della base imponibile Iva, soltanto in caso di mancato pagamento a causa di procedure concorsuali “rimaste infruttuose” (art. 26, comma 2, DPR 633/72).

Qualunque disposizione nazionale contraria a tale principio, pertanto, è in contrasto con la legislazione europea per la violazione dell’altro principio fondamentale dell’imposta, ossia quello della neutralità.

L’Agenzia delle Entrate, invece, ha sempre seguito un’interpretazione più restrittiva, sostenendo, da ultimo in una risposta ad interpello, che la facoltà di ridurre la base imponibile per mancato pagamento del debitore sottoposto a procedura esecutiva o concorsuale è subordinata alla partecipazione del creditore alla procedura stessa o, nel caso di fallimento, all’insinuazione nel passivo.

Si rimanda alla circolare di Eutekne del 12 giugno 2020.